Ecco cosa ti succede se alzi la voce con il tuo datore di lavoro: meglio contare fino a 10 prima di farlo

Si dovrebbe evitare di alzare la voce con il datore di lavoro, in questi casi si può andare incontro a conseguenze decisamente spiacevoli.

In ogni impiego, sia che sia svolto da libero professionista sia da dipendente, si è chiamati a rapportarsi in modo più o meno costante con il datore di lavoro o comunque con alcuni sottoposti che lui stesso ha delegato ad avere alcune responsabilità. Al di là del compito che si è chiamati a svolgere il rispetto non dovrebbe mai mancare e sarebbe bene ci fosse da entrambe le parti, anche se purtroppo non è sempre così. I casi di soprusi o di mobbing vero e proprio sono purtroppo numerosi, anche se i lavoratori tendono spesso ad accettare tutto questo ben sapendo quanto sia difficile trovare un’offerta valida in tempi rapidi. E se si dovesse perdere la pazienza improvvisamente?

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Ci sono conseguenze se s arriva ad alzare la voce con il datore di lavoro – Grupposenatoforzaitalia.it

Non è detto che ad alzare la voce possa essere solo l’imprenditore, che può sentirsi autorizzato a reagire in questo modo quando nota qualcosa che non va in virtù del suo ruolo, incurante delle possibili conseguenze. Del resto, l’azienda è sua, per questo pensa di poter fare tutto quello che vuole, con la convinzione che ogni scelta passi da lui. Difficile quindi possa guardare con favore se ad avere comportamenti inconsulti sia la persona che ha assunto, anche se è inevitabile debba prepararsi a conseguenze poco piacevoli.

Discutere con il datore di lavoro: occhio alle conseguenze

E’ capitato certamente a tutti di affrontare giornate difficili sul lavoro e di non sentirsi pienamente apprezzati nonostante si faccia il possibile per svolgere con impegno i compiti assegnati. A volte lo sconforto può nascere quando il clima che si respira in azienda non è dei migliori, soprattutto se il datore di lavoro non reagisce con calma quando nota qualcosa che non va.

Non mancano purtroppo le situazioni di imprenditori che arrivano a criticare pesantemente e a più riprese i dipendenti, per questo alla lunga potrebbe essere difficile mantenere la calma. Una reazione come questa può essere comprensibile sul piano umano, ma non si può pensare sia esente da conseguenze. E purtroppo non sono positive per il datore di lavoro. La possibilità di incorrere in un licenziamento può essere concreta, come messo in evidenza dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21103 del 24 luglio 2025.

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Si può essere licenziati se si offende il datore di lavoro – Grupposenatoforzaitalia.it

La Suprema Corte si è espressa con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, ritenendo legittimo il licenziamento subito da una psicologa che aveva dato del “leccaculo” al suo responsabile, che aveva quindi preso la decisione peggiore nei suoi confronti. I giudici hanno ritenuto l’accaduto “un atto di insubordinazione”, un comportamento che rompe il rispetto delle gerarchie e delle regole azienda. Pensare che un atto simile non avesse alcuna conseguenza era impossibile, secondo gli Ermellini, infatti, viene minato il rapporto di fiducia che dovrebbe esserci in ogni rapporto di lavoro, che non può che prevedere anche il rispetto dei ruoli.

in casi simili la Cassazione ha ribadito di non poter ritenere sensate le giustificazioni, nemmeno eventuali provocazioni possono essere ritenute tali. Si può quindi arrivare al licenziamento anche solo per un episodio scorretto, qualora questo andasse oltre al limite del rispetto e della buona educazione, a maggior ragione se a farne le spese sia il datore di lavoro.

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La sentenza non ammette deroghe – Grupposenatoforzaitalia.it

Esistono poi delle aggravanti in un modo di agire che può già di per sé portare all’effetto peggiore. Il riferimento è a quando urla e insulti si verificano in pubblico, il che non significa necessariamente davanti a una platea, ma alla presenza di qualcuno che può fare da testimone all’accaduto. Questo porta a parlare non di una semplice offesa, ma di un’umiliazione pubblica del superiore. L’esempio preso in considerazione dai giudici era ritenuto grave soprattutto perché si era arrivati a questo in seguito a una discussione legata al piano ferie, non accettata dalla lavoratrice, le sue parole potevano quindi essere interpretate come un attacco diretto al suo capo, come quindi una mancata accettazione della sua autorità.

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