Il Senato, dopo una decisione unanime, ha approvato la legge sul femminicidio nel Codice penale: cosa prevede questa Legge
Ultimamente se ne è parlato tanto, perché sono aumentati i casi di femminicidio e lo sgomento è aumentato ai livelli massimi. La verità è questa: sempre più donne vengono uccise. Spesso quest’azione è stata giustificata come un presunto raptus. Ma questo rappresenta solo l’ultima azione dopo una lunga serie di abusi, fisici e psicologici. Bisogna quindi intervenire in modo drastico, ma soprattutto giusto.
Punire è l’unico modo, non solo per combatterlo ma anche per educare e proteggere il genere femminile. Perché l’amore non è violenza, l’amore non uccide. Ed è per questo che, seppur in ritardo, è finalmente arrivata la decisione unanime del Senato: sarà ergastolo per chi uccide una donna.
Il Senato ha approvato all’unanimità il disegno di legge che introduce per la prima volta il reato di femminicidio nel Codice penale italiano, inserendolo all’articolo 577-bis. Un passaggio che segna una svolta importante nel contrasto alla violenza contro le donne. Ora il testo attende il via libera definitivo della Camera dei Deputati. Ma cosa prevede esattamente questa nuova norma?
Il cuore della legge riguarda la pena: ergastolo per chi uccide una donna mosso da odio, discriminazione, gelosia o desiderio di controllo, oppure per punirla dopo un rifiuto a iniziare o proseguire una relazione. Il reato viene riconosciuto anche quando l’intento è limitare la libertà della vittima in quanto donna, confermando la natura profondamente sessista di questi atti.
Il provvedimento introduce anche misure più severe a livello preventivo: tra le novità, l’estensione della distanza minima garantita dal braccialetto elettronico, che passa da 500 a 1000 metri. Inoltre, diventa obbligatoria la confisca di cellulari, computer e altri dispositivi utilizzati per maltrattamenti o forme di controllo, specie in ambito familiare. Cambia anche il modo in cui vengono tutelate le vittime. Sarà garantito il diritto a essere informate in caso di patteggiamento, anche fuori udienza, e a esprimere le proprie osservazioni. Vengono rafforzate le regole per l’esame testimoniale, con l’obiettivo di evitare ulteriori traumi e salvaguardare la dignità della persona offesa.
Oltre alla repressione, il ddl punta anche sulla prevenzione. Sono previste campagne educative e di sensibilizzazione nelle scuole, e l’istituzione di un tavolo tecnico permanente contro la violenza sessuale legata all’abuso di sostanze. Le ragazze minorenni dai 14 anni potranno accedere ai centri antiviolenza senza l’autorizzazione dei genitori. Una legge importante, ma non sufficiente
Questo disegno di legge rappresenta senza dubbio un passo avanti. Le tutele aumentano, le misure cautelari si fanno più rapide, gli strumenti di prevenzione diventano più concreti. Ma da solo, non basta. Servono anche interventi profondi sul piano culturale, perché il femminicidio è solo la punta di un iceberg che affonda le radici in una mentalità distorta, dove il controllo, la gelosia e la violenza vengono ancora normalizzati, giustificati o addirittura romanticizzati.
Una legge è fondamentale, ma non può risolvere da sola un problema tanto radicato. Serve educazione affettiva nelle scuole, serve che chi opera sul campo sia formato davvero, servono spazi di ascolto sicuri per le vittime. E serve una comunicazione pubblica che non ricada nei soliti stereotipi. Perché combattere il femminicidio significa cambiare il modo in cui pensiamo, agiamo e raccontiamo i rapporti tra uomini e donne. Un cambiamento che richiede tempo, determinazione e la volontà di andare oltre l’emozione del momento.
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